I Social Network sono fondamentali in un progetto web?

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I Social Network sono fondamentali in un progetto web? E se si, sono indispensabili per fare visite, lead e conversioni/vendite?

Sono domande che emergono spesso, parlando con diversi clienti, e a cui è difficile dare una risposta secca tipo SI o NO. Purtroppo la classica risposta, che nasce spontanea in testa è “dipende”.

In realtà c’è anche chi si schiera piuttosto nettamente da una parte o dall’altra. Il partito del si e il partito del no hanno argomentazioni molto forti e si originano in maniera cristallina dalla tipologia di creatore di contenuti che ogni persona online rappresenta, consciamente o inconsciamente.

Proviamo a vedere gli argomenti di chi è a favore e di chi è contro…

Partito del SI

Rudy Bandiera, Skande, Rosa Giuffrè, ma anche qualunque fashion blogger, con buona probabilità: tutte persone che appartengono – in alcuni casi per loro stessa ammissione – al partito di prescrittori / influencer online che non possono non ritenere i Social Media un canale fondamentale per fare visite e conversioni in un progetto online.

I Social aiutano nella comunicazione dei valori in cui si crede; danno una mano lato marketing e permettono un dialogo costante, mostrando la vivacità e lo stato di buona salute di un brand, veicolando al target corretto i suoi prodotti e servizi.

I capisaldi del partito pro-Social potrebbero essere così riassunti:

  1. i Social sono indispensabile “conversazione“. I canale Social servono per interagire, conoscere e dialogare con le persone (potenziali clienti);
  2. i canali sociali sono dei megafoni per amplificare le proprie idee, le proprie tesi… e farle arrivare al pubblico giusto;
  3. rappresentano un network strategico, perché le persone online sono portatrici di interessi, “influenzano, scelgono, esprimono” (cit. Rosa Giuffrè – che interviene sull’argomento con grande chiarezza qui);
  4. sono un canale di informazione privilegiato e preferito sempre più dagli utenti, spesso di fasce di età più giovani. Ecco quindi che chi presidia l’informazione sociale, ha “potere“, può influenzare, diventa autorevole;
  5. attraverso i Social Media si può anche vendere: si pensi a Pinterest e Instagram, così potenti nel promuovere prodotti fashion e di design; oppure a Twitter e a Facebook, che stanno testando funzionalità e-commerce all’interno delle rispettive piattaforme: chi riesce a costruire una community attorno a un certo interesse ha la possibilità, in un futuro molto prossimo, di convertire direttamente le proprie capacità di dialogo e influenza in vendite concrete.

Partito del NO

In questo partito stanno comodi coloro che non ritengono i Social Media un mezzo così incredibile nel perseguire visite, lead e conversioni (e non sono probabilmente così interessati a fare networking/comunicazione). Molti professionisti del web che guadagnano online tramite affiliazioni, infoprodotti, e-book (ma non per forza solo questi) spesso ricadono in questo filone di pensiero.

Emblematico il parere di Stefano Mini di MindCheats che – interpellato a proposito, su alverde.net – dice:

Ho avuto alcuni articoli virali che hanno portato da soli 5.000 visitatori in poche ore, ma sono visitatori inutili: non acquistano, non si iscrivono alla newsletter, raramente leggono altri post.

Aggiunge: “il traffico utile si fa con Google, pur usando Facebook Ads per promuovere alcuni prodotti“. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Andrea Giuliodori che pur contando sulla bellezza di 23 mila fan (dato rilevato il 15 ottobre 2014), non ritiene Facebook il canale principale. Il traffico organico è per Andrea la via principale per il successo, sapendo che in Facebook “si è in casa d’altri”, in affitto: “il proprietario può decidere quando alzare l’affitto, quando riverniciare le pareti e quando sbatterci fuori”. Ineccepibile.

C’è anche chi ne fa una questione di contenuti: i Social sono funzionali ad intrattenere, perciò se i vostri argomenti sono “più alti”, maggiormente tecnici, informativi… allora lo sforzo sui Social Network sarà di comunicazione, un modo per alimentare un buon referral di visite e fare un po’ di networking.

Un altro punto a cui non è facile controbattere è la portata (o reach) dei contenuti postati sui Social: le percentuali di persone raggiunte dal messaggio che diffondiamo sono drammaticamente crollate su Facebook (siamo attorno all’1-2%, di media – la percentuale di aperture di una newsletter, ad esempio, è solitamente molto superiore). Le cose non vanno tanto meglio su Twitter e men che meno su Google Plus.

Ed ecco che il Social Media Manager comincia ad usare sempre più immagini “virali”, citazioni e altri contenuti con un taglio meramente di intrattenimento per alzare quella benedetta portata dei post della pagina fan… confermando la “questione contenuti” di cui ho fatto menzione poco fa.

Ricapitolando schematicamente, i punti forti del partito del NO sono:

  1. sforzi, investimenti e risorse vanno direzionati verso il traffico organico dai motori di ricerca, non verso i Social;
  2. i contenuti che funzionano sui Social sono troppo legati all’intrattenimento puro, a discapito di contenuti tecnici/più seri;
  3. scarso controllo: sui Social Media si è “ospiti” in casa d’altri. Cambiamenti futuri rischiano di vanificare gli sforzi fatti dall’oggi al domani;
  4. i Social sono un’arma a doppio taglio: grandi hype di visibilità a cui non sempre segue un raggiungimento dell’obiettivo (= alto consumo di tempo);
  5. la portata dei contenuti Social è terribilmente bassa (e per alzarla spesso si deve ricorrere all’intrattenimento).

Chi ha ragione?

Insomma, se si leggono i vari punti, entrambi i partiti detengono una parte di ragione. Il discrimine a mio avviso sta:

  • nell’argomento che trattate;
  • nella tipologia di “creatore di contenuti” che scegliete / dovete essere;
  • nei vostri obiettivi.

Che siate il Social Media Specialist di una grande azienda, la persona del marketing di un piccolo produttore b2b, un blogger, un divulgatore, un tecnico…

Facile osservare come un Rudy Bandiera punti forte sui Social in quanto figura semi-pubblica del web: deve costruire sempre nuove relazioni, coltivare quelle esistenti, dialogare, condividere nuove idee e stimolare il dibattito. Lui è un (bravissimo) consulente e, in quanto tale, fa dell’ottimo marketing personale.

Al contrario, un Andrea Giuliodori di Efficacemente o uno Stefano Mini di MindCheats hanno un prodotto “quasi” tangibile: e-book, infoprodotti, divulgazione in generale.

La gente è portatrice di problemi; loro arrivano con soluzioni: il punto d'incontro perfetto è Google

(pur non disdegnando supporti molto tangibili come Facebook Ads)

Discorso analogo per chi fa molte visite su determinate query (due esempi su tutti: Salvatore Aranzulla e Dario Vignali), guadagnando in varie maniere, tra cui affiliazioni e pubblicità sui propri siti.

E voi, da che parte state?


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2 Commenti

  1. In mezzo…. credo molto nei social anche come strumento per indirizzare su sito e blog.
    Capisco la frustrazione di non vedere… concretezza, rilancio ancora con una domanda: a che cosa serve la presenza digitale? Intendo dire: se vuoi vendere con la rete è un discorso, ma se cerchi di accrescere la tua autorevolezza è una cosa differente.

    1. Ciao Paolo, grazie della domanda… secondo me presenza digitale è una serie di azioni coordinate per raggiungere visibilità e – si spera – autorevolezza, prima ancora di obiettivi economici.

      E’ chiaro che la presenza digitale deve essere uno specchio di strategie e valori presenti anche offline. Banalmente: serietà, servizi/prodotti di qualità, onestà, investimenti, strategia generale, team, mercato… questi sono alla base. E una presenza digitale completa li può valorizzare.

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