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Con tutti gli strumenti digitali a disposizione, da Google ai vari Social Network, serve ancora avere un sito web? A chi serve un sito web? La domanda esiste soprattutto per quella miriade di piccole attività locali che rappresentano la realtà economica e sociale di qualunque geografia del mondo.
Se ne può discutere, si possono portare sul tavolo numerose opinioni per un fronte o per l’altro… ed è quello che ho fatto. Cercando però di ripartire, come di consueto, da numeri ed evidenze che rendano il confronto il più possibile oggettivo
Perché a qualunque attività serve un sito web?
1. Il CTR – click through rate, cioè il tasso di click rispetto al numero di visualizzazioni (= quanto vieni cliccato) – sui risultati naturali che appaiono su Google rimane alto.
2. Qualunque strumento esterno, di terze parti, gode per periodi più o meno lunghi di visibilità e facilità d’uso, di cui può beneficiare qualunque persona, attività online o brand. Però la morte di Google Plus insegna: si tratta dell’ennesimo “Social” che viene ritirato, dell’ennesimo strumento di visibilità che fallisce. Chi investe in questo tipo di canali fa bene a farlo, ma va sempre ricordato che si è “ospiti in casa d’altri”: quando la casa chiude, tutti fuori senza se e senza ma. Un sito web rimane dunque l’elemento centrale di una strategia di marketing, dove poter instaurare un dialogo personalissimo con gli utenti e essere sempre padroni del proprio destino.
3. Pagine dei risultati di ricerca sempre più affollate di elementi vari, snippet, box informativi… significano una competizione sempre più spietata per la visibilità: la competizione passa da Google Ads all’ottimizzazione delle schede Google My Business, fino ad arrivare naturalmente ai siti web, che rimangono lo spazio virtuale che richiede maggiori sforzi, ma che può garantire anche i migliori ritorni (senza dipendere da nessuno).
Curare i rich snippets del sito, progettare dei piani editoriali lungo argomenti centrali e correlati (di nicchia) ricercati dagli utenti, migliorare l’UX del sito, ottimizzare rapidità ed erogazione delle informazioni nelle versioni mobile/responsive: tutto concorre a migliorare la propria presenza in SERP e ad aumentare il numero e la qualità dei click ricevuti ad ogni ricerca di informazioni su Google da parte degli utenti.
4. Profondità informativa: come accennato qui sopra, la cura dei contenuti di un sito è un aspetto da considerare e da coltivare. Le ricerche che vengono rivolte a Google, infatti, hanno diversi livelli di complessità: alcuni bisogni informativi sono di facile e veloce risoluzione (che tempo fa a Milano domani?); altri, invece, sono complessi e non possono essere esauriti da Google direttamente in SERP. Per quest’ultimi, quindi, occorre una pagina web di un sito che sia articolata e possa offrire un ricco corredo di contenuti multimediali e funzionalità. Solitamente queste ricerche complesse sono anche quelle sottendono a bisogni specifici con sfumature “transazionali”, ossia dove l’utente è pronto ad agire, che si tratti di un acquisto da fare, una richiesta di informazioni, il download di una guida e così via.
5. Ricerche vocali. Come sopra: anche le ricerche effettuate con assistenti vocali rientrano in questa discussione. Certe risposte potranno essere “erogate” dall’assistente vocalmente, potranno quindi essere enunciate all’utente che ascolta la risposta, ma fino a un certo punto. L’assistente dovrà comunque fare un rimando a un sito web da cui ha ricavato la risposta alla domanda complessa, quindi l’utente sarà di fatto soddisfatto vocalmente in maniera solo superficiale, ma per dubbi più complessi o specifici, dovrà indirizzarsi ugualmente verso un sito web dettagliato.
6. Correlazione tra presenza in Local Pack e risultati naturali? Dal report State of Local SEO di Moz, emerge una convinzione: la stra-grande maggioranza (3 su 4) delle attività presenti nel pack di risultati locali, ha anche una presenza tra i risultati organici in prima pagina. È un’ipotesi da prendere con le pinze: può esserci un qualche tipo di correlazione. Di sicuro, invece, c’è il fatto che avere due possibilità di conversione in SERP (una nel local pack, quindi tramite Google My Business, e una tra i risultati naturali) permette di moltiplicare le proprie possibilità di essere cliccati, ovviamente.
Dove un sito, oggi, può essere ridondante?
1. Da mobile le cose non vanno benissimo in fatto di CTR, vista la ricca mole di informazioni che Google offre già agli utenti (knowledge snippets, schede Google My Business, risposte in SERP, etc). Google, soprattutto da mobile, è un “motore di risposte”, più che un motore di ricerca. A Febbraio 2018, una ricerca condotta da Jumpshot e SparkToro svelerebbe che le ricerche di utenti su Google US con zero click sui risultati, da mobile, ammonterebbero addirittura al 61%. In 3 anni il dato è quasi raddoppiato (nel 2015 era attorno al 33%).
Se a questo si aggiunge il fatto che sempre più visite provengono da smartphone, lo scenario si fa ingarbugliato, quanto meno per il futuro.
2. Proprio in virtù del punto precedente, canali come Google My Business (GMB) o tutto il traffico a pagamento da Google Ads diventano fonti enormi di visite. Questo aspetto si accentua per visite da mobile legate ad attività locali: l’utente trova nelle schede GMB (quasi) tutte le informazioni di cui ha bisogno. Dalle foto alle recensioni reali degli utenti, dalle indicazioni di contatto agli orari di apertura/chiusura. Inoltre, cominciano ad essere sempre più frequenti nelle SERP (pagine dei risultati di ricerca) USA anche gli annunci pubblicitari nei “pack locali”, realizzate con Google Local Services Ads (vedi immagine)
In sintesi: ci sono aspetti e trend che possono permettere anche a quelle attività (piccole) che non hanno un sito, di campare e di avere un po’ di visibilità. Ma questa visibilità viene gestita da Google tramite i propri strumenti, il più delle volte a pagamento. E’ un modo di fare marketing (online) di sussistenza, decisamente zoppo a mio avviso.
Se invece si vuole non solo esistere, ma vincere nell’arena competitiva, occorre dirigere i propri sforzi nella costruzione di “una propria casa digitale”, di un proprio sito, dove far convergere gli interessi specifici degli utenti.
Dal punto di vista SEO, ad ogni modo, anche la pagina dei risultati di ricerca deve essere vista e ragionata dal marketer come un luogo dove iniziare a influenzare l’utente, che è a tutti gli effetti un potenziale cliente: sia attraverso una cura maniacale dei presidi Google (Google My Business su tutti), sia attraverso una strategia a più ampio respiro che cerchi di portare l’utente “in casa propria”…
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